Minoranze etniche e gruppi religiosi denunciano il tentativo di introdurre la legge islamica. La normativa, poco chiara e passibile di diverse interpretazione, lascia ampio margine ai fondamentalisti per reprimere “costumi e tradizioni popolari” che costituiscono la vera “ricchezza della nazione”.
Jakarta (AsiaNews) – Non si placa il coro di proteste di minoranze religiose e gruppi etnici indonesiani contro la possibile approvazione della “legge contro la pornografia”, meglio nota come Undang-undang Pornografi, Uu App. Essi denunciano che la nuova normativa, al vaglio del Parlamento, chiamato a deciderne l’approvazione il prossimo 23 settembre, mette in serio pericolo “l’unità nazionale”, cancella le differenze “culturali e religiose” annullando il “pluralismo” e favorendo lo “scontro sociale”. Ma ciò che più preoccupa minoranze ed etnie è il pericolo che, dietro la legge sulla pornografia, si celi il tentativo dell’ala più integralista dell’islam locale di introdurre la sharia, la legge islamica.
Le zone in cui si concentrano etnie e gruppi non musulmani sono le isole orientali del Paese, tra le quali: l’isola di Bali a maggioranza indù, le Sulawesi protestanti e cattoliche, le Molucche anch’esse equamente divise fra protestanti e cattolici, la Papua a maggioranza cattolica così come la East Nusa Tenggara (Ntt), il Borneo ripartito fra cattolici e protestanti e altri distretti del Nord Sumatra e del West Nusa Tenggara (Ntb).
Il timore è che la proposta di legge possa diffondere un clima di “anarchia”, poiché non definisce con precisione cosa possa essere ritenuto “contro la morale” e soprattutto quali siano i “criteri” da adottare per stabilire se “un comportamento o una espressione artistico/culturale” debbano essere censurate. Il capitolo 21 della bozza di legge lascia inoltre “campo libero” nella prevenzione di possibili gesti immorali: “Questo punto è particolarmente pericoloso”, sottolinea Eva Kusuma Sudari, dell’Indonesian Democratic Struggle Party (Pdip), schieramento nazionalista che si è sempre opposto alla legge. “Esso permette di manovrare le persone per promuovere anarchia e conflitti sociali nel Paese”, mentre i gruppi islamici integralisti hanno campo libero nel distruggere locali notturni o luoghi di ritrovo con il pretesto di “preservare la purezza
Le maggiori critiche vengono rivolte all’Indonesian Islamic Defender Front (Fpi), reponsabile in passato di gesti violenti e che, grazie alla nuova legge, si sentirebbe autorizzato ad esercitare il ruolo di “polizia morale” e punire eventuali manifestazioni di dissenso o comportamenti contrari all’etica islamica radicale.
Per tutelare il pluralismo e scongiurare l’adozione della sharia, il partito nazionalista (Pdip) insieme allo schieramento cristiano Peace and Prosperous Party e al Democrat Party ha dato vita a una serie di manifestazioni in cui si chiedeva di respingere la proposta di legge. Essa – ribadiscono le minoranze – con il pretesto di stabilire ciò che può essere definito “materiale pornografico”, mira in realtà a promuovere “la rigida osservanza della legge islamica”.
La Sharia colpirebbe non solo dvd, film e spettacoli “osceni” o contro la “morale”, ma finirebbe per censurare manifestazioni e tradizioni che sono radicate in alcune zone dell’Indonesia: nell’isola di Papua, ad esempio, è prassi comune indossare un piccolo pantaloncino che copre le parti intime, mentre le donne hanno il petto scoperto. Gli Asmat, un gruppo tribale, è caratteristico per le sue statue che mostrano nudità, un elemento tipico
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