Friday, 30 October 2009

Yudhoyono commenced his second term in office

» 20/10/2009 08:58
INDONESIA
Jakarta: Yudhoyono giura davanti al Parlamento, assente la Megawati
di Mathias Hariyadi
Il presidente inizia il secondo mandato alla guida dell’Indonesia. Nel discorso programmatico promette lotta alla corruzione e un’accelerata alle riforme burocratiche e amministrative. Continua la lotta al terrorismo islamico. La Megawati non perdona il “tradimento” del 2004: Yudhoyono ha abbandonato partito e governo per concorrere alle presidenziali.

Jakarta (AsiaNews) – Combattere la corruzione e dare un’accelerata alle riforme dell’apparato burocratico e amministrativo. Sono i punti salienti del discorso programmatico di Susilo Bambang Yudhoyono che, questa mattina, ha giurato davanti al Parlamento per il suo secondo mandato. Insieme al Capo dello Stato ha giurato anche il vice-presidente Boediono, già governatore della Banca centrale indonesiana. Grande assente alla cerimonia la ex presidente Megawati Sukarnoputri, che, da tempo, nutre rancori personali con Yudhoyono, un tempo suo braccio destro.
Yudhoyono, 60 anni, è stato investito del secondo mandato dopo la vittoria alle urne del luglio scorso, in cui ha trionfato al primo turno con oltre il 60% dei voti. Il presidente e il vice-presidente hanno giurato davanti al parlamento indonesiano – il Majelis Permusyawaratan Rakyat (Mpr) a Senayan, nel centro di Jakarta – presieduto da Taufik Kiemas, marito della Megawati; la cerimonia è stata trasmessa in diretta tv.
Il Capo dello Stato, eletto nel 2004 per il primo mandato, ha saputo riconquistare la fiducia degli elettori grazie a una politica volta alla stabilizzazione economica dopo anni di difficoltà, conseguenza della dittatura militare che ha segnato il Paese. Egli ha impresso una spinta alla finanza e all’economia nazionale che quest’anno – a dispetto della crisi mondiale – dovrebbe toccare livelli di crescita pari al 4%. Fra i suoi meriti la lotta al terrorismo islamico (l’Indonesia è il Paese musulmano più popoloso al mondo, ndr) grazie alla quale ha conquistato fiducia e rispetto nel panorama politico internazionale.
Fra i partiti che sostengono la coalizione guidata da Yudhoyono – capo del Democrat Party – vi sono anche il nazionalista Golkar Party, il movimento radicale islamico Prosperous Justice Party (Pks), il partito islamico moderato National Awakening Party (Pkb), il nazionalista National Mandate Party (Pan), il partito nazionalista e musulmano moderato United Development Party (Ppp). All’opposizione vi sono il nazionalista Hanura, guidato dall’ex capo delle forze armate generale Wiranto e il Gerindra, presieduto da Prabowo Subianto.
La vera spina nel fianco per il presidente Yudhoyono è rappresentata dalla Megawati, leader dell’Indonesian Democratic Party Struggle (Pdip), che non ha mai perdonato il “tradimento” dell’attuale presidente, un tempo suo braccio destro. Nel 2004, quando ricopriva la carica di Ministro per la sicurezza e gli affari politici nel governo guidato dalla Megawati, Yudhoyono ha dato le dimissioni dal prestigioso incarico per fondare – in gran segreto – il Democrat Party. Una mossa che la Megawati non gli ha mai più perdonato: oltre alla cerimonia di giuramento di oggi, la ex Capo di Stato non ha mai partecipato, in questi anni, alle celebrazioni del 17 agosto per l’indipendenza del Paese, nonostante i ripetuti inviti personali.
Ora Yudhoyono dovrà nominare la squadra di governo: fra i settori chiave quello della Sicurezza - che verrà affidato a Djoko Suyanto, ex capo delle Forze armate e amico personale del presidente - e l’Economia, che dovrebbe andare a Hatta Radjasa, politico moderato di primo piano. Come previsto da politici e analisti, il presidente non dovrebbe assegnare incarichi di primo piano a esponenti del movimento radicale islamico Prosperous Justice Party (Pks), al cui capo dovrebbe andare il dicastero della Informazione.

Mons Pujasumarta Pr bicara soal pencabutan IMB Gereja Santa Maria Cikampek

» 22/10/2009 16:35
INDONESIA
Vescovo del West Java: dialogo sulla chiesa di Santa Maria. Oppure azioni legali
di Mathias Hariyadi
Mons. Johannes Pujasumarta Pr, vescovo di Bandung, spiega che attraverso un “dialogo costruttivo” si può raggiungere una “buona soluzione”. Il prelato promette battaglia e non esclude l’ipotesi di adire le vie legali. Fra i motivi che hanno bloccato la costruzione della chiesa le proteste di “gruppi particolari” della zona.

Jakarta (AsiaNews) – “Il dialogo con le persone di buona volontà dovrebbe essere la base per affrontare ogni questione sociale, inclusa la recente revoca del permesso di edificazione della chiesa di Santa Maria” a Cikampek, nella reggenza di Purwakarta. È quanto afferma ad AsiaNews mons. Johannes Pujasumarta Pr, vescovo di Bandung, nella provincia di West Java. Il prelato aggiunge anche che “tutte le procedure sono state effettuate secondo la legge” e promette che “verranno intraprese azioni legali”.
Nei giorni scorsi le autorità del distretto di Purwakarta, provincia di West Java, hanno revocato ufficialmente il permesso – rilasciato due anni prima – di costruire la chiesa di Santa Maria nel villaggio di Cinangka, nel sotto-distretto di Bungur Sari. Jaenal Arifin, funzionario locale, ha parlato di alcune “irregolarità” scoperte nella concessione dell’Imb, l’Izin Mendirikan Bangunan, una sorta di delibera scritta che permette l’apertura di un cantiere ed è rilasciato dalle autorità locali. A questo – nel caso la costruzione riguardi un luogo di culto cristiano – si aggiunge il “nulla osta” di un certo numero di residenti dell’area in cui viene costruito l’edificio e del gruppo per il dialogo interreligioso locale.
Il vescovo di Bandung (nella foto) vuole promuovere “un dialogo costruttivo” con tutte le parti in causa per “trovare una buona soluzione” e, da cristiano, ricorda “il valore della preghiera” per affrontare “tutti i problemi della vita quotidiana”, perché “Dio ci mostri la giusta via” per risolverli. Il prelato conferma che “verranno intraprese, con molta probabilità, azioni legali” ma non intende chiarire nei dettagli quali saranno i passi che la diocesi vuole percorrere.
Fonti di AsiaNews a Bandung riferiscono che un team di avvocati sta valutando il ricorso da presentare in tribunale. Padre Agus Rachmat, dell’Ordine della Santa Croce, aggiunge che il collegio preposto a presentare l’istanza è composto da Liona N. Supriatna, Sentosa Sembiring, Nyoman Wangsa SH, A. Joni Manulyo SH, RB Budi Prastowo SH e Andreas D Sukmono SH.
Mons. Johannes Pujasumarta Pr conferma che “tutte le procedure sono state eseguite secondo la legge”, ma, giunto il momento di iniziare i lavori, è successo “un qualcosa di inaspettato”. Tra cui una serie di proteste da parte di gruppi “particolari” della zona, contrari alla costruzione dell’edificio cattolico.
Il vescovo tiene però a precisare che, oltre ai problemi, vi sono molti aspetti positivi nella vita della Chiesa nel West Java. “Quando ho visitato Cikampek – spiega – ciò che ho visto è stato sorprendente. Sono stato toccato nel profondo e mi ha reso felice vedere quanto sia radicata e sincera la fede in Dio delle persone. Il loro entusiasmo, nella vita di ogni giorno, mi ha sbalordito”.
Il prelato dice di aver testimoniato di persona la “prova della loro fede”. “I cattolici di Cikampek – conclude – vogliono coltivare il loro credo in Dio, vederlo sbocciare e dare frutti in tutta la provincia del West Java”.

Bupati Purwakarta Cabut IMB Gereja Santa Maria Cikampek

20/10/2009 11:47
INDONESIA
West Java, bloccata la costruzione della chiesa cattolica di Santa Maria
Due anni fa il nulla osta concesso dalle autorità locali, che oggi fermano il progetto per presunte “irregolarità”. La comunità cristiana parla di pretesto e affida la vicenda “nelle mani di un legale”. In Indonesia possono trascorrere fino a 10 anni prima di ottenere il permesso di edificare una chiesa, poi ritrattato dietro pressioni dei movimenti islamici.

Jakarta (AsiaNews) – La chiesa cattolica di Santa Maria, nel distretto di Purwakarta, provincia di West Java, non verrà costruita; le autorità hanno revocato il permesso di edificazione, rilasciato due anni fa. Una delusione per i fedeli, che avevano curato la preparazione di tutti i documenti e avevano ottenuto tutte le autorizzazioni del caso. Vi sono state delle “irregolarità”, ribattono i funzionari locali, nei passaggi che hanno portato al rilascio del nulla osta. Irregolarità che, a detta dei cristiani, sembrano più un pretesto per bloccare il progetto.
L’iter per la costruzione di una chiesa in Indonesia – cattolica o protestante – è assai complicato e possono trascorrere da cinque a dieci anni prima di ottenere tutte le autorizzazioni richieste dalla legge. Il procedimento è regolato dall’Izin Mendirikan Bangunan (Imb), una sorta di delibera scritta che permette l’apertura di un cantiere ed è rilasciato dalle autorità locali.
La vicenda si complica se si tratta di un luogo di culto cristiano: serve infatti il nulla osta di un certo numero di residenti nell’area in cui viene costruito l’edificio e del gruppo per il dialogo interreligioso del posto. E pur disponendo delle autorizzazioni, possono subentrare “non meglio precisate motivazioni” che spingono i funzionari a bloccare i progetti. Spesso dietro pressioni della comunità musulmana o di movimenti radicali islamici, in nome di un fanatismo religioso.
Ieri il quotidiano indonesiano Tempo ha riportato un’ordinanza emessa da Dedi Mulyadi, capo del distretto di Purwakarta, il quale ha ufficialmente revocato il permesso – rilasciato due anni prima – di costruire la chiesa di Santa Maria nel villaggio di Cinangka, nel sotto-distretto di Bungur Sari. Jaenal Arifin, funzionario locale, spiega che la lettera è datata 16 ottobre e segue alcune “irregolarità” scoperte nella concessione dell’Imb. L’inchiesta sul benestare dei residenti, condotto dall’Interfaith Dialogue Forum Agency (Fkub), avrebbe ottenuto “45 pareri positivi” invece degli “oltre 60” richiesti per legge. “Il permesso – conclude Arifin – è stato così revocato”. Hadi, funzionario locale della chiesa di Santa Maria, non vuole commentare la vicenda e spiega che “tutto è nelle mani del nostro legale”.
Già in passato l’Indonesia ha registrato casi di revoche improvvise e misteriose delle autorizzazioni a costruire edifici di culto cristiani. Fra questi si ricorda una chiesa protestante, bloccata da Nurmahmudi Ismail, ex esponente del Pksun movimento radicale islamico – e attuale sindaco di Depok, nella reggenza di Bogor. Nel 2004 una chiesa pentecostale a Tanjun Senen, nella città di Bandar Lampung (capoluogo della provincia di Lampung) è stata chiusa per un movimento di protesta locale, che si era sollevato contro la costruzione dell’edificio.(MH)

Gus Dur tentang Gereja Sang Timur Cileduk

22/10/2004 15:06
indonesia
Ex presidente indonesiano si schiera a difesa di una chiesa cattolica
di Mathias Hariyadi

Abdurrahman Wahid (Gus Dur), musulmano moderato: "Garantire libertà religiosa per i cattolici, altrimenti porterò il caso in tribunale". Negli ultimi 14 anni 500 attacchi contro chiese cristiane nel paese.

Jakarta (AsiaNews) – L'ex presidente indonesiano Abdurrahman Wahid ha espresso "dura condanna" per la chiusura della scuola cattolica di santa Bernadetta a Cileduk (40 km ovest di Jakarta), avvenuta per mano di militanti islamici. "Il governo locale deve far aprire di nuovo la scuola" ha aggiunto l'ex presidente.

Wahid, conosciuto con l'appellativo di Gus Dur, parlando ieri nella sede della Nahdlatul Ulama, la più grande organizzazione musulmana del paese, ha invitato con forza le autorità locali a riaprire il complesso gestito dalle suore di Gesù Bambino, chiuso nei primi giorni di ottobre da membri del Fronte dei difensori dell'Islam (FPI). I fondamentalisti hanno eretto un muro di cemento davanti alle entrate dell'edificio per impedire ai cattolici di accedere alla palestra della scuola, situata nel villaggio di Cileduk, provincia di Banten. Da 10 anni i cattolici utilizzavano la palestra per celebrare la messa, perché l'amministrazione locale si rifiutava di dare il permesso per costruire una vera chiesa.

Secondo Wahid i funzionari locali "sono responsabili della chiusura del complesso di santa Bernadette" e "hanno costretto i preti e le suore a firmare una dichiarazione in cui assicurano di non usare più la palestra come chiesa provvisoria". Un fatto grave, denuncia Gus Dur, che ha aggiunto: "A nome mio e della comunità musulmana del paese, invito il sindaco di Tangerang e il capo villaggio a non impedire nessun servizio religioso nel complesso di santa Bernadetta.". Wahid ha minacciato il ricorso legale se le autorità non prenderanno i provvedimenti adeguati: "Se queste mie richieste non saranno prese in considerazione, porterò il caso in tribunale" ha detto.

Gus Dur ha incontrato i rappresentanti della scuola di Santa Bernadetta, i sacerdoti, le suore e alcuni genitori. Parlando poi con i giornalisti, Gus Dur ha sottolineato che gli autori dell'attacco alla scuola cattolica si sono macchiati di un crimine contro la Costituzione: "Ogni cittadino indonesiano ha il diritto di esprimere il proprio credo e lo stato ha il compito di facilitare le necessità che sorgono al riguardo" ha detto l'ex presidente. Rivolgendosi ai leader musulmani del paese, Gus Dur ha detto: "Mi domando cosa stiano facendo loro dal momento che la minoranza cattolica viene vessata in questo modo da parte di altri cittadini". L'ex presidente ha invitato i cittadini indonesiani a combattere ogni forma di avversione anti-religiosa e combattere gli integralisti.

Sulla situazione della minoranza cristiana è molto duro il giudizio di padre Franz von Magnis-Suseno, docente di filosofia al Driuarkara Institute in Jakarta: "Armonia religiosa e tolleranza? Tutte storie. Non posso più sopportare questi atti disgustosi" afferma p. Suseno, riferendosi ai vari recenti episodi degli integralisti islamici. "Quello di santa Bernadette non è un caso isolato" scrive il padre gesuita sul quotidiano protestante Suara Pembaruan. "Due mesi fa il sindaco di Bandung (capitale di Java ovest) ha promulgato in modo ufficiale un decreto per abbattere 12 chiese protestanti nella zona" sostiene il gesuita. "Da un po' di tempo le violenze contro le chiese, per lo più protestanti, sono molto frequenti. Dal 1990 almeno 500 chiese sono state assaltate, una ogni settimana".

Padre Suseno afferma che "il problema è molto grave, dal momento che i fondamentalisti islamici affermano che il cristianesimo non deve esistere. Non nascondo il fatto che alcuni si siano convertiti al cristianesimo, ma non sono tantissimi" afferma lo studioso. "Sono stupito che l'opera di evangelizzazione sia usata e abusata tra i musulmani per dare il via ad azioni violente".

Mons Suharyo, the Coadjutor Bishop of Jakarta Archdiocese

21/10/2009 17:13
INDONESIA
Vescovo di Jakarta: con il cuore a Semarang, rispondo con fiducia alla nuova missione
di Rosalia Royani

Il 28 ottobre mons. Ignatius Suharyo Pr farà il suo ingresso nell’arcidiocesi della capitale come vescovo coadiutore. Dopo 12 anni lascia l’arcidiocesi di Semarang, nello Java Centrale, la culla del cattolicesimo indonesiano. Nell’ultima lettera pastorale il prelato esprime “riconoscenza” e chiede “preghiere e sostegno”.

Jakarta (AsiaNews) – “Questa è una chiamata che arriva da Dio, un invito ad adempiere alla mia nuova missione”. È quanto scrive mons. Ignatius Suharyo Pr, arcivescovo di Semarang, che il 27 ottobre prossimo lascerà la diocesi per assumere l’incarico di vescovo coadiutore di Jakarta. “La Santa Sede mi ha assegnato il nuovo incarico” spiega il prelato nell’ultima lettera pastorale; con il “pieno sostegno dell’intera comunità dell’arcidiocesi di Semarang, alla fine, sono felice di ricevere questa missione”.
“La vita è un dono totale di Dio… va condivisa con gli altri” continua mons. Suharyo, che ha speso gran parte della vita come docente di teologia alla prestigiosa facoltà di Wedabhakti e al Seminario superiore di Kentungan, a Yogyakarta, nello Java Centrale. “La Chiesa mi ha chiamato, io devo obbedire a questa chiamata divina per servirla in un luogo diverso”.
Il prelato (nella foto) ha chiesto all’intera comunità cattolica dello Java Centrale di pregare per il nuovo incarico che ricoprirà a Jakarta. “Voglio esprimere la mia riconoscenza – aggiunge – per ogni preghiera e ogni augurio ricevuto […] Ed è proprio nello spirito della preghiera, che assumo con fiducia la nuova missione”. Mons. Suharyo, che ha terminato i 12 anni di servizio a Semarang, farà il suo ingresso nell’arcidiocesi della capitale il 28 ottobre, in qualità di coadiutore (con diritto di successione) del cardinale Julius Riyadi Darmaatmadja SJ, attuale arcivescovo, che in dicembre compirà 75 anni.
Prima di guidare l’arcidiocesi di Jakarta, il card Darmaatmadja è stato arcivescovo di Semarang, una terra che ha ricoperto un ruolo di primo piano della storia del cattolicesimo in Indonesia. L’arcidiocesi ospita il santuario mariano di Sendangsono, il più importante del Paese, e proprio da questa terra sono germogliati i primi semi della missione in Indonesia. Fra i protagonisti dell’evangelizzazione vi è il missionario gesuita di origine olandese p. Van Lith SJ, che nel 1904 ha battezzato 171 abitanti della zona. Il sacerdote ha anche fondato una scuola che ha contribuito all’annuncio del cattolicesimo in tutte le città dell’isola di Java.
Oggi Sendangsono è conosciuta come la “Lourdes dell’Indonesia” e p. Van Lith SJ è ricordato come “l’Apostolo di Java”, con un esplicito riferimento a San Paolo che ha diffuso il cristianesimo in molte zone dell’Asia centrale. Tuttora l’arcidiocesi di Semarang è la più ricca del Paese per vocazioni religiose, sia fra suore che preti, e vanta il numero di fedeli più elevato di tutta la nazione.

Jakarta, ancora violenze contro gli studenti cristiani di teologia

di Mathias Hariyadi
La polizia ha cacciato gli alunni del Setia dalla sede di fortuna allestita nell’ex municipio di West Jakarta. Un gruppo di studenti e professori è sotto inchiesta, cinque gli arrestati. Nel luglio 2008 una folla di musulmani aveva assaltato la loro sede, costringendo gli studenti alla fuga. L’edificio cristiano nel mirino di una impresa edile.

Jakarta (AsiaNews) – La polizia di Jakarta ha scacciato gli studenti dell’Istituto teologico cristiano Arastamar (Stt Setia) dai terreni dell’ex municipio di West Jakarta. I ragazzi vi svolgevano le lezioni dopo essere stati allontanati con la forza – nel luglio 2008 – dal loro campus a Kampung Makassar, a est della capitale. Il raid delle forze dell’ordine è iniziato il 26 ottobre scorso. Al termine di una tre giorni di scontri e di proteste dei cristiani per l’ennesima cacciata, un gruppo di studenti e alcuni insegnanti sono stati incriminati con l’accusa di resistenza a pubblico ufficiale. Cinque gli studenti arrestati, in attesa di provvedimenti della magistratura indonesiana.

Nell’estate del 2008 una folla di musulmani inferociti ha assaltato l’originaria sede dell’Istituto teologico cristiano, a East Jakarta. A scatenare le violenze sono state le accuse – montate ad arte – di furto di un motorino ad opera di uno studente e costruzione illegale di edifici cristiani. In Indonesia, infatti, vige una legge ferrea per la fabbricazione di chiese o istituti non musulmani, per i quali è prevista una specifica autorizzazione.

In seguito all’assalto, circa 1500 studenti hanno dovuto abbandonare l’edificio, rifugiandosi in un primo momento nel vicino quartier generale della polizia e nella sede di un partito politico di ispirazione cristiana. Il Setia, istituto protestante per gli studi biblici fondato nel 1987 dal pastore Mathew Mangentang, ha oltre 29 sedi sparse per il Paese e nella sola sede di Jakarta ospitava migliaia di studenti.

Scampati alle violenze dei fondamentalisti islamici, studenti e professori hanno allestito una scuola di fortuna nella sede dell’ex ufficio governativo, a West Jakarta. Tale edificio però era da tempo disputato fra la municipalità e la fondazione Sawerigading. Di recente la Corte suprema indonesiana ha sancito che la proprietà dei terreni e dell’edificio è della fondazione. In seguito alla sentenza, le forze dell’ordine hanno attuato il provvedimento di sgombero, nonostante le resistenze dei giovani cristiani.

Sukowaluyo Mintorahardjo, leader di Setia, smentisce con forza l’accusa secondo cui l'istituto avrebbe falsificato i documenti per la costruzione degli edifici, come avanzato da alcune personalità musulmane. “È un’accusa falsa e priva di fondamento – afferma – visto che avevamo tutti i permessi sin dall’inizio”. In riferimento agli attacchi del luglio 2008, egli aggiunge che alla base vi sarebbero state delle questioni economiche. “Circa 8/10 anni fa una impresa edile ci ha avvicinato; invece di intavolare una trattativa amichevole – spiega – ci hanno ordinato di andarcene”.

La zona dove sorge l’Istituto teologico cristiano Arastamar (Stt Setia), infatti, ha un elevato valore commerciale ed è nelle mani di una singola impresa di costruzioni. Resta il fatto che – ad oggi – gli studenti cristiani non hanno alcun posto dove svolgere le lezioni, un gruppo di alu

Stoning is legal in Aceh


Aceh, governo provinciale contro parlamento. No alla pena di morte per gli adulteri
L’esecutivo locale non firma la norma basata sulla legge islamica, finché non “verranno stabiliti i criteri di applicazione”. Il parlamento della provincia autonoma ha votato una legge che prevede la lapidazione per gli adulteri e pene corporali durissime per comportamenti contrari alla Shariah. Dal governo centrale e membri della società civile critiche e perplessità; minacce dagli ulema.

Jakarta (AsiaNews/Agenzie) – Il governo provinciale di Aceh non firma la legge, voluta dal parlamento, che prevede la lapidazione per le adultere secondo i dettami della Shariah. Hamid Zein, capo dell’ufficio legale governativo, ha affermato che “l’amministrazione respinge con forza la normativa approvata dal parlamento” il 14 settembre scorso.
“Finché l’esecutivo e l’organo legislativo – riferisce al Jakarta Post il funzionario provinciale – non stabiliscono i criteri nell’applicazione [della pena di morte per] lapidazione, il governo di Aceh non firmerà la legge”.
Nei giorni scorsi il parlamento di Aceh – provincia indonesiana che gode di una parziale autonomia legislativa rispetto all’autorità centrale – ha votato l’introduzione di una norma che prevede la “lapidazione per gli adulteri” e “pene corporali durissime” per comportamenti contrari alla “legge” e alla “morale” islamica; fra questi l’omosessualità, punita con il carcere, le violenze sessuali, il consumo di alcol e il gioco d’azzardo.
L’applicazione di norme basate sulla Shariah aveva già sollevato critiche e perplessità nel Paese. Mardiyanto, Ministro degli interni, ha annunciato un ricorso alla Corte suprema indonesiana, spiegando che la legge è “dannosa” per gli abitanti di Aceh e “spaventerebbe” turisti e investitori; essa, inoltre, non rispetterebbe la Costituzione nazionale. La presa di posizione del ministro è significativa, perché per la prima volta il governo centrale interviene in questioni “interne” al parlamento e all’amministrazione provinciale.
Più dura la presa di posizione della Commissione nazionale contro la violenza sulle donne, che chiede una “revisione” della legge nazionale che concede al governo di Aceh la possibilità di introdurre norme basate sulla Shariah; un fatto che viola “i diritti umani” di base.
Irwandi Yusuf, governatore provinciale, preferisce mantenere un basso profilo e non prende posizione sulla vicenda. “Per il momento – spiega – è meglio che non dica nulla”. In precedenza Muhammad Nazar, sostenuto da altri parlamentari di Aceh, ha affermato che il governo dovrebbe promuovere punizioni con una finalità “più educativa”, della lapidazione.
Contrario il parere degli ulema locali, che reputano un “dovere” per l’esecutivo firmare la legge. “Se il governo non firma – minaccia Faisal Ali, segretario generale dell’Associazione degli ulema di Aceh (Huda) – vi potrebbe essere una reazione forte in segno opposto”.

Stoning is legal in Aceh


Aceh, governo provinciale contro parlamento. No alla pena di morte per gli adulteri
L’esecutivo locale non firma la norma basata sulla legge islamica, finché non “verranno stabiliti i criteri di applicazione”. Il parlamento della provincia autonoma ha votato una legge che prevede la lapidazione per gli adulteri e pene corporali durissime per comportamenti contrari alla Shariah. Dal governo centrale e membri della società civile critiche e perplessità; minacce dagli ulema.

Jakarta (AsiaNews/Agenzie) – Il governo provinciale di Aceh non firma la legge, voluta dal parlamento, che prevede la lapidazione per le adultere secondo i dettami della Shariah. Hamid Zein, capo dell’ufficio legale governativo, ha affermato che “l’amministrazione respinge con forza la normativa approvata dal parlamento” il 14 settembre scorso.
“Finché l’esecutivo e l’organo legislativo – riferisce al Jakarta Post il funzionario provinciale – non stabiliscono i criteri nell’applicazione [della pena di morte per] lapidazione, il governo di Aceh non firmerà la legge”.
Nei giorni scorsi il parlamento di Aceh – provincia indonesiana che gode di una parziale autonomia legislativa rispetto all’autorità centrale – ha votato l’introduzione di una norma che prevede la “lapidazione per gli adulteri” e “pene corporali durissime” per comportamenti contrari alla “legge” e alla “morale” islamica; fra questi l’omosessualità, punita con il carcere, le violenze sessuali, il consumo di alcol e il gioco d’azzardo.
L’applicazione di norme basate sulla Shariah aveva già sollevato critiche e perplessità nel Paese. Mardiyanto, Ministro degli interni, ha annunciato un ricorso alla Corte suprema indonesiana, spiegando che la legge è “dannosa” per gli abitanti di Aceh e “spaventerebbe” turisti e investitori; essa, inoltre, non rispetterebbe la Costituzione nazionale. La presa di posizione del ministro è significativa, perché per la prima volta il governo centrale interviene in questioni “interne” al parlamento e all’amministrazione provinciale.
Più dura la presa di posizione della Commissione nazionale contro la violenza sulle donne, che chiede una “revisione” della legge nazionale che concede al governo di Aceh la possibilità di introdurre norme basate sulla Shariah; un fatto che viola “i diritti umani” di base.
Irwandi Yusuf, governatore provinciale, preferisce mantenere un basso profilo e non prende posizione sulla vicenda. “Per il momento – spiega – è meglio che non dica nulla”. In precedenza Muhammad Nazar, sostenuto da altri parlamentari di Aceh, ha affermato che il governo dovrebbe promuovere punizioni con una finalità “più educativa”, della lapidazione.
Contrario il parere degli ulema locali, che reputano un “dovere” per l’esecutivo firmare la legge. “Se il governo non firma – minaccia Faisal Ali, segretario generale dell’Associazione degli ulema di Aceh (Huda) – vi potrebbe essere una reazione forte in segno opposto”.

Stoning is legal in Aceh


Aceh, governo provinciale contro parlamento. No alla pena di morte per gli adulteri
L’esecutivo locale non firma la norma basata sulla legge islamica, finché non “verranno stabiliti i criteri di applicazione”. Il parlamento della provincia autonoma ha votato una legge che prevede la lapidazione per gli adulteri e pene corporali durissime per comportamenti contrari alla Shariah. Dal governo centrale e membri della società civile critiche e perplessità; minacce dagli ulema.

Jakarta (AsiaNews/Agenzie) – Il governo provinciale di Aceh non firma la legge, voluta dal parlamento, che prevede la lapidazione per le adultere secondo i dettami della Shariah. Hamid Zein, capo dell’ufficio legale governativo, ha affermato che “l’amministrazione respinge con forza la normativa approvata dal parlamento” il 14 settembre scorso.
“Finché l’esecutivo e l’organo legislativo – riferisce al Jakarta Post il funzionario provinciale – non stabiliscono i criteri nell’applicazione [della pena di morte per] lapidazione, il governo di Aceh non firmerà la legge”.
Nei giorni scorsi il parlamento di Aceh – provincia indonesiana che gode di una parziale autonomia legislativa rispetto all’autorità centrale – ha votato l’introduzione di una norma che prevede la “lapidazione per gli adulteri” e “pene corporali durissime” per comportamenti contrari alla “legge” e alla “morale” islamica; fra questi l’omosessualità, punita con il carcere, le violenze sessuali, il consumo di alcol e il gioco d’azzardo.
L’applicazione di norme basate sulla Shariah aveva già sollevato critiche e perplessità nel Paese. Mardiyanto, Ministro degli interni, ha annunciato un ricorso alla Corte suprema indonesiana, spiegando che la legge è “dannosa” per gli abitanti di Aceh e “spaventerebbe” turisti e investitori; essa, inoltre, non rispetterebbe la Costituzione nazionale. La presa di posizione del ministro è significativa, perché per la prima volta il governo centrale interviene in questioni “interne” al parlamento e all’amministrazione provinciale.
Più dura la presa di posizione della Commissione nazionale contro la violenza sulle donne, che chiede una “revisione” della legge nazionale che concede al governo di Aceh la possibilità di introdurre norme basate sulla Shariah; un fatto che viola “i diritti umani” di base.
Irwandi Yusuf, governatore provinciale, preferisce mantenere un basso profilo e non prende posizione sulla vicenda. “Per il momento – spiega – è meglio che non dica nulla”. In precedenza Muhammad Nazar, sostenuto da altri parlamentari di Aceh, ha affermato che il governo dovrebbe promuovere punizioni con una finalità “più educativa”, della lapidazione.
Contrario il parere degli ulema locali, che reputano un “dovere” per l’esecutivo firmare la legge. “Se il governo non firma – minaccia Faisal Ali, segretario generale dell’Associazione degli ulema di Aceh (Huda) – vi potrebbe essere una reazione forte in segno opposto”.

Sexy Jeans Attires Probibited in West Aceh

INDONESIA
Proibiti ad Aceh i jeans attillati. Rivolta delle donne


Il governo locale intende introdurre una legge che impone abiti più conformi ai precetti dell’islam. Per gli uomini niente pantaloncini corti. Chi è sorpreso con abiti fuorilegge, verrà obbligato a indossare indumenti più “larghi”, che coprono le forme. Abitanti di Jakarta consigliano “tute da astronauta”.

Jakarta (AsiaNews) – Alcuni la definiscono una “stupidata”, altri chiedono al governo di “occuparsi di questioni più serie”; a Jakarta invitano i connazionali di Aceh a “vestirsi da astronauta”. Le donne, invece, si sentono “discriminate” e promettono battaglia. Ha scatenato una reazione popolare la proposta di legge del governo provinciale di Aceh, territorio “speciale” a nord dell’isola di Sumatra, in Indonesia, che proibisce alle donne di indossare i jeans e agli uomini i pantaloncini. Chi verrà colto in flagrante, verrà spogliato e vestito con uno “speciale abbigliamento” fornito dalle autorità.

Per le donne di Aceh proibire i jeans è una decisione “fuori dal comune”, oltre che un segno di discriminazione e causa di shock. “È una questione molto delicata – afferma Kamala Chandrakirana, capo della Commissione indonesiana contro la violenza sulle donne – penso che una legge fuori dal comune come questa, debba essere osteggiata dal presidente”. L’attivista spiega che la norma – annunciata nei giorni scorsi alla stampa da Ramli MS, capo del distretto di West Aceh – non è solo “discriminatoria”, ma viola i diritti umani di base: “ognuno ha il diritto di indossare ciò che vuole”.

La norma sull’abbigliamento è ancora al vaglio del parlamento locale e, se approvata, entrerebbe in vigore dal gennaio 2010. Fonti locali ad Aceh sottolineano che le autorità hanno preparato più di 7 mila gonne “larghe” (che coprono le donne fino ai piedi) da utilizzare durante “raid istantanei” per cambiare d’abito quante si mostrano in pubblico con indumenti “troppo sexy”. Provvedimenti saranno previsti anche per gli uomini che circolano con “sexy shorts”, ovvero pantaloncini troppo corti tanto da mostrare gambe e “forme”. “La legge – aggiunge la fonte – varrà solo per i musulmani di Aceh”, una delle province del Paese in cui l’islam viene applicato in modo rigoroso. Poche settimane fa, il governo locale aveva proposto la lapidazione per gli adulteri e pene corporali per chi viola la Shariah.

AsiaNews ha interpellato alcuni residenti della provincia ed emerge un consenso unanime contro l’entrata in vigore della legge, che suscita al contempo ilarità. “È qualcosa di davvero stupido” afferma una donna, che poi precisa: “Abiti e vestiti sono una scelta personale, che ogni uomo o donna deve essere libero di compiere senza costrizioni”. Molti invitano il governo a “pensare ad altro”, invece di “indignare le persone” con simili leggi. Qualcuno avanza poi dubbi sugli “speciali finanziamenti” stanziati per raccogliere più di 7 mila vestiti e si chiede: “da dove arrivano i soldi?”. Oltretutto, conferma la maggioranza della gente, i jeans sono “più comodi” per viaggiare a bordo di motociclette. Altri affermano che l’islam non dovrebbe costringere i fedeli a “vivere sotto una costante pressione morale”, ma dovrebbe essere “l’esatto contrario”.

Il Capo del distretto di Aceh non commenta la vicenda. Dalla capitale, invece, solidarizzano con gli abitanti di Aceh e molti si dicono “indignati” della proposta di legge. Qualcuno all’inizio la butta sul ridere, consigliando ai governanti di “far indossare tute da astronauta alle persone”. Poi la riflessione: “vi sono questioni molto più importanti da trattare, rispetto a un abito sexy”.