Monday, 10 November 2008

Giustiziati gli attentatori di Bali. Dure reazioni dei militanti islamici

di Mathias Hariyadi
Nelle prime ore di domenica sono stati fucilati gli attentatori che nel 2002 uccisero 202 persone a Bali. Proteste e scontri con la polizia in occasione dei funerali. Allerta in tutta l’Indonesia per il rischio di attentati e nuove manifestazioni. Ma gli analisti assicurano che il pericolo di atti terroristici non è elevato. Gli ulema indonesiani intanto dichiarano: “I tre non sono martiri”.

Jakarta (AsiaNews) - I tre attentatori di Bali sono stati giustiziati 15 minuti dopo la mezzanotte di sabato e sono subito iniziate le manifestazioni di protesa da parte dei gruppi islamici indonesiani.

Per motivi di sicurezza, le autorità indonesiani avevano deciso di portare a termine l’esecuzione all’interno del carcere di Nusakambangan, dove i tre erano detenuti, e non in altri siti di cui i giornali locali avevano parlato nelle ultime settimane.

Le salme di Amrozi, Imam Samudra e Mukhlas sono state consegnate alle famiglie nella giornata di domenica e durante i riti funebri (nella foto un momento del funerale di Samudra) sono stati diversi i gesti di veemente protesa contro il governo e l’esecuzione dei tre, che in molti definiscono martiri dell’islam.

In vista della fucilazione diversi gruppi di militanti islamici avevano preannunciato violenze e proteste. A meno di ventiquattrore dall’esecuzione i sostenitori dei tre attentatori hanno inscenato manifestazioni nei villaggi di Serang, Lamongan e Tenggulun, dove vivono le famiglie dei terroristi. La polizia indonesiana è dovuta intervenire per mantenere l’ordine.

I legali dei tre attentatori di Bali hanno dichiarato che in occasione dei funerali non erano state programmate vere manifestazioni e preannunciato che invece queste si svolgeranno durante la settimana. Il Muslim defence team (Tpm) ha anche rivelato di voler muovere azione legale contro il procuratore generale con l’accusa gravi violazioni dei diritti umani nella vicenda dei loro assistiti. Questi fatti, insieme a dichiarazioni e minacce mosse da diversi esponenti del mondo islamico rendono teso il clima nell’isola. Reiterate minacce di attentati sono state fatte pervenire anche alle ambasciate australiane e statunitensi a Jakarta. La polizia è in stato di allerta a protezione di obiettivi sensibili in tutta l’isola, come alberghi e luoghi turistici. Già nella giornata di domenica sono stati eseguiti alcuni arresti e squadre speciali della polizia hanno pattugliato in modo massiccio le zone attorno alle abitazioni dei tre giustiziati.

Gli analisti della sicurezza affermano che il Paese non corre il rischio di gravi attentati perché il principale gruppo terroristico operante in Indonesia e legato ad Al Qaeda, la Jemaah Islamiyah, vive un momento di grave debolezza. Forti sono comunque le polemiche mosse da alcune fonti governative sulla strumentalizzazione politica dell’esecuzione. Esponenti dell’esecutivo hanno criticato televisioni e organi di stampa colpevoli di aver dato eccessiva pubblicità dell’avvenimento e così rinfocolato la tensione. I continui rinvii dell’esecuzione avevano esposto il governo a numerose critiche. La prime sentenze che comminavano ai tre la pena di morte risalivano a cinque anni fa: Amrozi era stato condannato il 7 agosto, Samudra il 10 settembre e Mukhlas il 2 novembre del 2003.

Oggi, nel tentativo di gettare acqua sul fuoco e non dar luogo ad un’escalation di violenze, è intervenuto anche il Consiglio indonesiano degli ulema (Mui). Il presidente Umar Shihab ha dichiarato che i tre attentatori di Bali “non sono morti come svuhada [martiri]. Chi uccide altre persone non può morire come martire a meno che queste non siano in guerra in nome delle religione. Ma noi non siamo in guerra, quindi non possiamo uccidere”.

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